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Il coppo decorato all’ingresso di uno dei crotin del Brich Marchès di Montaldo Roere e le immagini di uno straordinario raggruppamento di architetture ipogee della zona.
Per scoprirle le storie dei crotin possiamo metterci nei panni di un immaginario viandante che nel Novecento, a piedi, nei primi anni dopo la Prima Guerra Mondiale, affronta le ultime rampe dell’antica strada che unisce il pilone Trinità, le attuali case Marenghi, alla sommità delle rocche e alle case di Montaldo Roero.
Chi poteva essere il viandante?
Poteva essere un cacciatore diretto ai boschi della pianura superiore, oppure un compratore di pelli di coniglio, un ambulante con il suo sacco zeppo d’utensili per la casa e il cucito, uno stagnaro o l’arrotino. Ma anche un vagabondo, una lingera, che si manteneva offrendosi come bracciante a giornata o semplicemente un questuante in cerca di un piatto di minestra. Oppure, allarme massimo, degli zingari, eterni accusati d’ogni furto o smarrimento di attrezzo.
Il viandante nasce dalla penna di Michele Vaschetto nel 2010 e viaggia tra le prime case del paese, accolto dal latrare furioso dei cani da cortile legati alla catena. Poi riprende fiato e percorre un tratto più agevole su un’antica e polverosa carraia fino ad arrivare ad una concentrazione di grotte scavate nel fianco della collina di Torre. Il cronista fa riposare il suo personaggio nella grande fornaca, una grotta tanto ampia da potervi asportare entrare con un carro comodamente, magari per portare blocchi di tufo, e poi lo rimette sulla strada con immagini che evocano un mondo.
Era in quel punto, lasciato sulla destra il pilone di San Michele, residua testimonianza di un’antica chiesa e cimitero, che la carraia, ricchissima di polvere estiva ma umida o fangosa nei restanti mesi, veniva ad aprirsi ad un percorso più agevole. Finita la doppia galleria di acacie, ci si liberava dell’ombra popolata da sciami d’insetti d’ogni tipo, principi i tafani e principesse le mosche, volteggianti a schiere attorno ad ogni umano sudore o muso d’animale.
Sul lato a valle si poteva tornare a intravedere la dolce cresta di Costabella, separante Montaldo da Baldissero e a mano sinistra, lungo il fianco meridionale della collina della Torre, proprio davanti a quella che allora era prima casa di Montaldo, sarebbe apparso uno slargo costituito da un piccolo stagno di raccolta d’acque piovane, con l’immancabile canneto e relativo notturno concerto di rane.
Immediatamente retrostante allo spiazzo si apriva una grande fornaca dalle dimensioni veramente inusuali : un’imboccatura di non meno di tre metri in larghezza e altrettanti in altezza, aperta ad un interno tanto grande da dar riparo, in tempi recenti, ad un camion. La grotta è ormai chiusa e invisibile l’apertura, in terreno di proprietà della famiglia Ruata.
A pochi metri, il nostro attento viaggiatore, avrebbe individuato un crotin di circa due metri per tre, di facile accesso, adatto ad ospitare un carro e usato fino a pochi decenni or sono dalla famiglia Rista. Anche l’ingresso di questo ambiente è oggi interrato e occultato.
Una trentina di metri più a valle sarebbe apparsa un’altra grande fornaca sempre della famiglia Rista, che, fino ad un recente passato, ne aveva conservato la funzione di deposito e, in tempo anteriore, lo usava per la raccolta di eccedente acqua piovana. L’ambiente è nascosto da un grigio ma opportuno muro in cemento, a garanzia della sicurezza della moderna strada provinciale.
Risalendo di pochi passi un’antica carrareccia laterale, aggirante l’intero Brich Marchès, ora diventata un piccolo sentiero, il nostro viandante avrebbe iniziato un lungo percorso fra i crotin, ancora visibili e in parte visitabili1, che costituiscono i crotin dël brich Marchès. Con questo soprannome era conosciuto Michele Vaschetto, nonno dell’attuale e omonimo proprietario che, per naturale consuetudine, passò a suo figlio Lorenzo, colui che sin dagli anni ’50 si dedicò alla conservazione dei crotin facendone un regno, una culla per le bottiglie del Roero, il teatro per le musiche più belle da suonare assieme agli amici. (Cit. Michele Vaschetti)
Ma ora lasciamo il viandante immaginario alle sue notti puntinate di stelle e giorni a passo lento e facciamo invece spazio ad un nuovo protagonista: il cronista che sta scrivendo per voi alle soglie del terzo millennio.
Mi basta allontanarmi di pochi metri dalle mie carte per immergermi nel mondo magico e sotterraneo dei crotin e delle cròte, sono la mia terra. Ho fatto esperienza di questi luoghi e di crescenti valori d’ampiezza, di freschi e sotterranei ambienti per il deposito e la conservazione della frutta e delle foglie di gelsi, per lo stallaggio, la rimessa, vinificazione e la vijà. Venite con me.
Il primo luogo che s’incontra è per la verità un croton, la cui forma porta a pensare ad una stalla, con spazio per la mucca, o una mula, e un anfratto che avrebbe potuto ospitare una capra. Le diffuse piccole nicchie a livello del pavimento rimandano ai complementari conigli, porcellini d’India e, forse, galline. Un breve corridoio introduce direttamente in quello che è probabilmente il «crotto» di cui resta traccia in un rogito del 1870 dove si legge: «Bernardino e Luigi fratelli Vaschetto» convenuti con testimoni presso il Notaio Carlo Bergadani «addì ventisette maggio circa ore sei di sera in Monteu Roero» convengono che «il crotto esistente sul ripaggio e sotto il sito di casa del condividente Bernardino spetterà al fratello Luigi senza che lo possa ampliare in nessun modo». Uno stretto passaggio interno, abbastanza recente, conduce poi ad un altro piccolo ambiente, evidentemente destinato ad antica rimessa. Sono presenti fossili di grandi conchiglie e pietre erratiche di forma particolare, rigorosamente provenienti dai terreni e dai muri delle costruzioni soprastanti.
L’itinerario sotterraneo prosegue attraverso un corridoio che introduce nel crotin più profondo e caratteristico di tutto il complesso. Un grande tunnel cieco centrale conduce a due bracci finali a T ognuno di tre metri ove su gradoni scavati nel tufo venivano appoggiate grandi botti. La costanza della temperatura (16° gradi sia in estate che d’inverno), il buio, il silenzio, la mancanza assoluta di muffe o insetti, assicuravano al vino una ideale conservazione e maturazione. L’utilizzo come cantina è anche testimoniato da una serie di nicchie per singole bottiglie scavate lungo una delle pareti.
Finalmente (dopo un corridoio artificiale esterno) ecco l’ultima stanza del percorso, formata da due grandi ambienti uniti fra loro che presuppongono un utilizzo di lavoro per le ceste, conservazione delle foglie dei gelsi, magazzini per il deposito della frutta sino ai giorni di mercato. Anche le famiglie Vaschetto, come tantissime altre nel Roero, allevavano bachi da seta, curandosi delle larve dall’acquisto al momento della vendita del bozzolo.
Per concludere voglio mostrarvi un particolare: la scritta sul coppo decorato all’ingresso di uno dei crotin del Brich Marchès di Montaldo Roero.
«Për arcordesse
ëd Lorens Vaschètt (Marchès)
che ant ‘l cheur a l’avia
ste cròte, sto brich e sto pais»
Un monito, forse una preghiera, ai visitatori perché sappiano capire o ritrovare le residue tracce della storia materiale di un intero territorio, avere occhi per vederle e cuore per conservarle. Molte resistono, caparbiamente, e aspettano che qualcuno le intercetti, tolga loro la disperazione di morire sui mercati dell’usato, nei solai, nel suolo e sottoterra.
Le grotte del Roero sono una di queste tracce. Alcune appaiono solamente nel ricordo degli anziani o su qualche vecchia fotografia. Altre resistono morfologicamente, ma i loro ingressi sono scomparsi, invisibili o irraggiungibili. Qualcuna è rimasta integra, vero e proprio monumento d’epoca, testimonianza di una vita contadina durata secoli.
Si ringraziano i testimoni del Roero Michele Vaschetto e Andrea Cane.
Riferimenti
Rivista storica Roero. Terra ritrovata, anno III, n. 5, dicembre 2010, pagg. 50-55
DATA E LUOGO DEL RILEVAMENTO
R070, ottobre 2021